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Pensate un attimo al “dolore”. Come lo definireste? Cosa direste che è? Immagino che chiunque di voi non si asterrebbe dal classificarlo tra le “esperienze negative e poco piacevoli”. Lo IASP, l’Associazione Internazionale per lo Studio del Dolore nel 1979 lo ha definito: “un’esperienza personale sensoriale ed emozionale spiacevole associata ad un effettivo o potenziale danno tissutale o comunque descritta come tale”.
A cosa serve il dolore?
Provare dolore è effettivamente spiacevole ma di per sé il dolore è utile, potremmo dire che spesso è una cosa “buona”. Vi starete chiedendo perché dico una cosa apparentemente priva di senso. Per rispondere vi invito a porvi quest’altra domanda: a cosa serve il dolore? In sé il dolore è un meccanismo di difesa: avvisa il cervello che i tessuti possono essere a rischio, pensate ad esempio qual è la prima cosa che fate se mettete la mano su qualcosa che scotta come la fiamma di una candela? Un riflesso rapidissimo vi induce a ritirarla perché sentite dolore, il vostro cervello è prontissimo ad attivare una risposta motoria che impedisca ai tessuti della vostra mano di essere danneggiati o in questo caso bruciati.
Il dolore acuto
Questo esempio che vi ho fatto è un tipo di dolore definibile come acuto. Una distinzione basilare nella definizione di dolore riguarda infatti la differenziazione tra dolore acuto e dolore cronico. Il dolore acuto è una risposta solitamente di breve durata (meno di tre mesi), di cui possiamo chiaramente identificare una causa, ad esempio mi fa male la caviglia perché correndo ho preso una storta. Generalmente trattando appunto la causa che ha determinato il dolore acuto il problema si risolve, per tornare all’esempio della candela non appena togliete la mano dalla fiamma la sensazione di dolore scompare, e nei giorni seguenti anche bruciori e fastidio vengono attenuati.
Il dolore cronico
Diverso è il dolore di tipo cronico che non è più una risposta di difesa e può essere più debilitante, sia fisicamente che emozionalmente, del trauma stesso. Il dolore cronico è persistente, è un dolore che dura per più di tre mesi dopo la guarigione, ad esempio continuate a sentire il polso rigido e indolenzito anche se sono passati anni da quando da giovani vi siete infortunati giocando a basket. La sensazione di dolore può presentarsi ricorrentemente a anche dopo la causa acuta che lo ha determinato, ad esempio una giornata particolarmente intensa sul lavoro vi causa una forte emicrania che con una buona nottata di sonno si risolve ma nei mesi seguenti il mal di testa comincia a ripresentarsi più volte anche senza una causa che apparentemente lo possa giustificare.
La qualità della vita
Sia che il dolore cronico abbia una causa sconosciuta sia che sia la conseguenza di un risolto danno fisco va considerato esso stesso come un problema poiché altera in modo persistente la qualità di vita. Induce a rinunciare ad attività prima considerate piacevoli come ad esempio intrattenersi fuori casa con un gruppo di amici o andare a fare attività fisica, procura disagio ed emozioni spiacevoli che possono incidere negativamente sui rapporti con il partner o con la con famiglia e catalizza tutta la vostra attenzione cosicché investite gran parte delle vostre energie nel tentativo di porre rimedio o arginare il dolore e non rimane altro tempo per i vostri interessi, hobby o svaghi.
Fisiologia del dolore
La sensazione di dolore è originata dalla risposta dei nocicettori, una particolare tipologia di nervi presenti in tutto il nostro corpo. Quando queste fibre nervose sono stimolate, ad esempio da un taglio, una forte pressione o da una temperatura troppo alta o troppo bassa si attivano e inviano un segnale che passa nel midollo spinale e raggiunge il cervello. Il nostro cervello poi attiva una risposta motoria (togliere la mano dal fuoco), emotiva (piangere) e comportamentale (cercare del ghiaccio) per contenere il dolore.
Ma perché ognuno di noi risponde in modo diverso al dolore? Perché uno stesso danno per alcuni è insopportabile mentre per altri sembra appena un fastidio? Perché talune persone continuano a sentire dolore anche se la causa che lo ha provocato è stata rimossa? Diversi fattori possono modulare la nostra risposta al dolore in primis un fattore di tipo biologico. Come dicevamo la sensazione di dolore è trasmessa dalle fibre nervose che scorrono all’interno il midollo spinale nella nostra colonna vertebrale e raggiungono il cervello. Le fibre nervose a livello del midollo sono circondate da cellule dette gliali, che possono modulare il segnale che le fibre nervose trasmettono: possono intensificare la sensazione di dolore o attenuarla. Anche a livello cerebrale il rilascio di sostanze come adrenalina, serotonina e oppioidi contribuisce alla modulazione del dolore.
Oltre al canonico trattamento farmacologico del dolore alcuni ricercatori si stanno occupando di determinare quali aspetti comportamentali, emotivi e cognitivi possono influire sull’attività delle cellule gliali nel mantenimento e sensibilizzazione alla sensazione di dolore. Diverse evidenze stanno dimostrando che individui affetti da dolore cornico trovano spesso sollievo tramite attività che favoriscono le emozioni positive o il rilassamento, come ad esempio le forme di meditazione e yoga, o il divertimento, lo svago e la distrazione come nel caso l’interazione sociale.
A sostenere la tesi che il dolore percepito non è necessariamente collegato al danno fisico ma vi sono tantissimi altri fattori che lo modulano vi è curioso caso pubblicato dal British Medical Journal nel 1995: un uomo pestò inavvertitamente un chiodo che forò il suo stivale proprio sotto il suo pollice. L’uomo agonizzante dal dolore e incapace di muoversi fu d’urgenza portato al pronto soccorso ma una volta rimosso lo stivale i medici si accorsero che il piede non era stato nemmeno toccato dal chiodo.
I fattori personali e ambientali che possono influire la percezione del dolore
Abbiamo dunque capito che il dolore che prova una persona non è necessariamente relazionato all’estensione della ferita, alla severità della patologia o alla forza del segnale di dolore, ma ci sono fattori personali e ambientali che lo possono modulare:
- Stati emotivi: quelli negativi amplificano il dolore.
- Pensieri e credenze: un esperimento con un gruppo di bambini dimostrò che coloro a cui era insegnato che il dolore è una risposta controllabile e transitoria riportavano livelli di dolore percepito inferiori rispetto ai bambini che invece credevano di non poter avere alcun controllo su di esso.
- Aspetti ambientali: in uno studio un gruppo di persone toccava una barra di ferro gelida mentre venivano illuminato l’ambiente con una luce rossa o blu, i soggetti esposti alla luce rossa riportavano una maggior percezione di dolore sebbene la temperatura della barra di ferro fosse la stessa per i due gruppi.
- Comportamenti delle altre persone: familiari o amici che si mostrano incoraggianti oppure eccessivamente timorosi e iperprotettivi.
La sfida dunque non è solo controllare il dolore cronico ma imparare a sviluppare benessere nonostante esso, prendendosi cura delle proprie emozioni, modificando l’ambiente secondo il proprio gradimento (anche semplicemente intervenendo su luci, suoni, odori) o ancora modificando le proprie credenze riguardo il dolore, coltivando la credenza di avere le risorse per poterlo superare, identificandone l’origine e sostenendo la propria autoefficacia e resilienza.
Se vuoi intervenire su questi aspetti quando lo desideri puoi rivolgiti ai nostri specialisti che possono consigliarti come modificare il tuo approccio al dolore, le tue reazioni emotive al suo insorgere e i tuoi pensieri circa la sua modificabilità e controllo. Diverse evidenze stanno dimostrando che individui affetti da dolore cornico, cioè le forme di dolore che persistono per mesi o anni senza causa apparente o anche dopo la guarigione della causa che li aveva originati, trovano spesso sollievo tramite attività che favoriscono le emozioni positive o il rilassamento, come ad esempio le forme di meditazione e yoga, o il divertimento, lo svago e la distrazione come nel caso l’interazione sociale.
Questo articolo è stato scritto e pubblicato dalla redazione di PsicoCare